Catechesi Disabili
Nel gruppo catechistico ognuno DEVE essere accolto per ciò che è, nella sua unicità: c’è il ragazzo ribelle, c’è la bimba silenziosa e timida (ma non perché non disturba deve essere ignorata), c’è il trio di ragazzine chiacchierone, c’è il ragazzino autistico insomma un bel mix!

La preoccupazione della Chiesa è sempre stata quella di rispondere al mandato di Gesù: «andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura». In un mondo dove siamo bombardati da parole, c’è bisogno di trovare linguaggi sempre nuovi e avvincenti per ridire la Parola, la verità profonda della “bella notizia” affinchè l’uomo creda ancora. È basilare un’opera di evangelizzazione che coinvolga soprattutto i bambini e i ragazzi ma bisogna «passare da una catechesi “lezione”, che si illude di poter insegnare la fede come una qualsiasi materia scolastica, a una catechesi “esperienza di vita”, che proponga in modo affascinante lo straordinario messaggio del Vangelo, in modo tale che esso stimoli, qualunque sia l’età di chi ascolta, a scegliere liberamente di diventare discepoli di Gesù».

Se lo scopo della catechesi è portare i bambini e i ragazzi a un incontro personale con Gesù, bisogna chiedersi come la verità della fede può raggiungere il loro mondo interiore perché possano incontrare personalmente Gesù? Siccome essi sono un popolo concreto e anche molto esigente, è importante offrire un metodo che possa comunicare Gesù e il suo messaggio in modo sorprendente, entusiasmante e soprattutto coinvolgente. Ad esempio la meraviglia, ben mediata dal gioco, è un buon terreno in cui il seme della Parola può germogliare. Certo, «la catechesi non è un gioco ma può essere giocata» perché «permeare la lezione con la mentalità del gioco» aiuta a capire e interiorizzare. La fantasia e l’immaginazione sono basi su cui lavorare per arrivare all’apprendimento e quindi alla conoscenza. Quando s’insegna ai bambini per mezzo dell’immaginazione, si intensifica il processo di apprendimento. Essi s’identificano realmente con le cose che stanno studiando e tale acquisizione diventa personale. È preferibile far immaginare a un bambino di essere il vento, anziché parlargliene per mezzo del libro. Immaginare vuol dire allora fare esperienza di qualcosa che nella realtà non abbiamo mai vissuto, significa rendere immaginabile quella situazione, il che ci permette di arrivare a viverla veramente.

Ma quale relazione possono avere la fantasia, l’immaginazione con la fede? La Sacra Scrittura tocca racconti “sognanti e strabilianti”, pur tuttavia non si assiste ad un puro e semplice rovesciamento del reale nell’immaginario: compare sempre un qualche richiamo alla realtà. Essa non è per questo qualcosa d’irreale, bensì piuttosto una apertura verso quel mondo che è nascosto, celato nel suo interno. La parola scritta ha il potere, la capacità di accendere l’immaginazione e fare luce nel mondo interiore. Senza l’immaginazione difatti non ci sarebbe un’opera così sublime come la Bibbia poiché «la Bibbia è un libro che immagina la verità» e Parola che crea la realtà. Questo attraverso il suo metodo narrativo. Possiamo dire che la fantasia del narrare è “finta ma vera”, poiché ci aiuta a capire la realtà. La narrazione è poi anche conoscenza, una via per la comprensione.

È importante riuscire, attraverso il metodo narrativo, l’arte del gioco, un pizzico di fantasia e una buona dose di gioia, a far “immaginare” ai bambini, e non solo, il Dio di Gesù Cristo come qualcuno di vivo e vero, qualcuno molto vicino a loro perché possano avere il coraggio e il desiderio di sperimentarlo concretamente nella vita di tutti i giorni.